Fiumi di Poesia 6 (c’era anche il prozio Emmerico)

Però basta fotografie adesso. Questi appunti sono per fermare sensazioni e pensieri che in questi  giorni si sono accavallati in modo disordinato ed emozionato.

Domenica pomeriggio, al secondo giorno del Torino Poesia Festival, ero anche io nel numero dei poeti chiamati a presentare se stessi e porgere qualche testo ai presenti. Una bella cosa l’ascolto, soprattutto in un contesto del genere, sapendo di avere intorno persone davvero interessate e attente; proprio per questo, però,  fa sentire scoperti e vulnerabili presentare in presenza ciò che è nato invece per essere fruito attraverso il velo e la mediazione di una pagina scritta; il che, di norma, presuppone un’assenza.

Per non stare a farla troppo lunga e per dare un’idea di ciò che gorgoglia e rugge, giù in fondo alle cose che scrivo, ho scelto di convocare e portare con me il prozio Emmerico e dunque ho iniziato i miei minuti leggendo un brano (questo), scritto un paio di anni fa per mettere insieme informazioni ed emozioni collegate alla vita e alla morte di questo mio ascendente in linea materna, che sono orgoglioso di poter eleggere ad antenato.

Emmerico Boso aveva tre fratelli e due sorelle, una delle quali era mia nonna, Oliva Boso, detta anche Lidia, la mamma di mia mamma. Nato a Castello Tesino in Valsugana, non distante da Trento, il 22 agosto del 1904 e morto a Gusen (Mathausen) il 18 marzo del 1945, poco prima che finisse la guerra. Fra queste due date (ma anche prima e dopo) è racchiusa tanta straordinaria vita e una storia di famiglia che dice moltissimo del nostro paese (ma anche oltre), del rapporto fra le classi sociali, della voglia  – che non casualmente alcuni hanno e altri non hanno – di lottare contro le ingiustizie. E dice anche dei costi che si pagano per questa lotta e di quanto pagano – loro malgrado -le persone vicine a chi lotta, la famiglia, i figli. Di quanto è faticoso e difficile tutto questo.

Può darsi, io spero, che qualcosa sia passato nelle poesie che con poca umiltà e molta passione cerco di scrivere e di limare poco per volta. Certamente raccontare la storia del prozio Emmerico rappresenta per me un auspicio, una speranza di significato, una sorgente di forza; un po’ come innalzare un totem.

La verità è che poi, mentre leggevo quelle righe, pur avendole scritte io, le parole prendendo forma mi colpivano con forza, una forza che non sospettavo, bloccandomi il respiro, troncando le sillabe sull’uscio dei denti, inciampando la voce in gola. Ho fatto fatica ad arrivare in fondo, ed era solo un piccolo brano, l’immagine di un fantasma che, ogni notte, mette volontariamente in scena la propria cattura al posto di guardia del Piccolo San Bernardo. Una cattura che non spense la sua voglia di combattere ma lo consegnò ad un oblio durato decenni, dal quale ha cominciato ad uscire solo da pochi anni grazie al lavoro di storici ed appassionati come Mirko Saltori e Graziella Menato.

Mi ha fatto un enorme piacere scoprire, alla fine della giornata, che la storia di  Emmerico Boso, passando attraverso il Festival di Poesia di Torino, ha toccato la sensibilità e l’immaginazione di persone tanto differenti  come la poetessa Marvi Del Pozzo e i musicisti-poeti- perforner Alessia Lombardi e Marco Alonzi (li cito perché me lo hanno proprio detto).

Siamo parti, attive e in qualche misura libere (o almeno liberabili), di una trama più estesa di noi, come fili volontari di un tessuto in costruzione; la nostra voce è, in parte, anche la voce di altri; la nostra storia si iscrive sempre in un quadro più ampio e in questo quadro agiscono forze e valori talvolta contrapposti, anche fino al conflitto. Ci sono sempre, in questo campo di forze, mediazioni, sconfitte e posizioni di forza: è inutile fingere che non sia così e rappresentare scorci di un equilibrio che non è nella trama del reale.

Per quanto mi riguarda, la poesia, per la sua intrinseca capacità di  lavorare sul senso delle parole, dovrebbe  trattare di tutto questo, offrire gli strumenti per riuscire a dire, della trama del reale, il punto da cui si perdono le voci di chi ne è uscito sconfitto, ma semplicemente perché la voce di chi vince la conosciamo già, talvolta è anche sublime (come il canto gregoriano o come il melodramma), ma non è tutto.  E penso  che ci sia modo di svolgere questo compito infinito pescando a fondo nel ricchissimo patrimonio immaginale che le culture e le società ci mettono a disposizione, perché nell’immaginario non governa solo la ragione, la presa delle élites  dominanti si allenta un po’ e anche i “gruppi muti” lasciano la loro traccia; una traccia che si stratifica e si rapprende in profondità.

Ma è giusto ricordare, sempre, che di poesia si  dovrebbe parlare al plurale; che ne esistono (per fortuna) innumerevoli modalità e declinazioni e che tutte, in un modo o nell’altro, hanno legittimità e senso.


Alcune fonti disponibili online:

https://www.giornaletrentino.it/cronaca/trento/storie-in-tempo-di-guerra-di-ragazzi-del-tesino-1.789296

https://www.questotrentino.it/articolo/10437/vite_avventurose

https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/15639-boso-emmerico

https://www.labstoriarovereto.it/archivi/deportatiGermania/23


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