L’indiscreto fascino del misunderstanding

Sabato 23 marzo 2024 ho assistito alla cerimonia conclusiva del concorso letterario Voci dai Murazzi; un dispositivo complesso con sezioni di saggistica, narrativa, opera prima, raccolta di poesia edita e inedita e una sezione di “poesia singola”. Io ho partecipato a quest’ultima sezione inviando tre poesie: Ospite , Chi siete voi? e Spuma; che sono state inserite nell’antologia del premio. In effetti, dei poco più di 120 partecipanti alla sezione, 92 sono stati inseriti nell’antologia, la quale rappresenta di fatto una documentazione sul campo, in presa diretta, del “popolo che scrive“. Nonostante questa sua natura non selettiva ,si tratta comunque di un prodotto curato, più rispettoso di altri che mi è capitato di vedere, nel quale alle poesie di ogni partecipante è stata aggiunta una nota di lettura, breve ma accurata e specifica.

Quella associata alle mie poesie la trovo molto interessante per come riesce ad essere, allo stesso tempo, appropriata, significativa e molto lontana da ciò attorno a cui ragionavo quando le scrivevo. Immagino, da autore “dilettante”, che questa sia una condizione piuttosto inevitabile quando ci si confronta con le impressioni di lettura di qualcuno che non ci conosce e non può avere alcuna idea del percorso di esperienza che prende forma in uno specifico testo. Assisto, per una volta, ad una lettura che non riguarda affatto me, ma esclusivamente il rapporto che un ignoto lettore ha intrecciato con tre miei testi. Quel che per certi versi a me pare un misunderstanding mi si offre invece, proprio per questa sua distanza,  come una interessante occasione di “understanding“, per così dire, l’occasione di comprendere dall’esterno l’effetto che produce il mio scrivere. E’ (almeno per quanto mi riguarda) un’occasione rara che vale la pena di cogliere

Il dispositivo di lettura è questo:

Viene sottolineato dunque dei tre testi, il fatto di presentarsi in forma di poesia-teatro, il carattere onirico e, attraverso questa caratteristica, si stabilisce una caratterizzazione tematica delle tre poesie come rappresentazione “ostativa” del sogno borghese opulento e paradossale, esemplificato nel capolavoro di Louis Bunuel: Il fascino discreto della borghesia. C’è, nel dispositivo, anche un rimando non esplicito ma piuttosto chiaro ad un altro titolo cinematografico che si rifaceva per opposizione al cinema di Bunuel, quel “L‘indiscreto fascino del peccato che resta, a mio modo di vedere, un capolavoro straordinario del primo Almodovar. Fatta con umiltà la tara agli altisonanti riferimenti, sono rimasto molto sorpreso, perché questo carattere “ostativo” e critico dell’immaginario borghese (etichetta larga che andrebbe definita meglio) non è affatto una caratteristica voluta di questi testi, forse non lo è in nulla di ciò che scrivo. E tuttavia coglie con intelligenza un aspetto più generale della mia ricerca intellettuale, ben a monte della produzione scritta di testi poetici, ovvero la mia curiosità di lungo periodo per aspetti dell’immaginario proveniente da altri mondi e altre culture, portata all’interno della vita sociale occidentale da migrazioni e comunicazioni di massa. Anche se, rispetto al focus sull’alta borghesia europea che contraddistingue lo sguardo sia di Bunuel che di Almodovar, per quanto mi riguarda, sono più interessato alle caratteristiche dell’immaginario popolare, quello dei ceti subalterni come si sarebbe detto un tempo.

Delle tre poesie solo Spuma è esplicitamente costruita come descrizione di una situazione onirica. Chi siete voi? raffigura una guaritrice che vede avanzare qualcosa che non identifica, uno spirito forse, magari una maschera, un “feticcio” avrebbe detto un missionario portoghese del ‘600. Ospite invece parla del rapporto di un genitore con il figlio (o figlia), ma lo fa attraverso la mediazione di un modo di considerare i figli che è tipico di molte culture subsahariane, ovvero l’idea che esista una circolarità fra gli spiriti che abitano nel mondo dei vivi e quelli che si trovano nel mondo degli antenati e dei non nati. Dunque un figlio fino ad un certo punto è un “ospite” che deve decidere se ci sono le condizioni per fermarsi oppure gli conviene tornare “di là”. E i genitori, i parenti, in modo anche rituale devono convincerlo a restare. Attraverso questo modo molto diverso dal mio di concepire il rapporto con un figlio trovo che sia possibile mettere in una luce differente e significativa la dinamica di relazione fra un genitore che cambia ed un figlio che diventa adulto. Tutti e tre questi testi sono debitori della mia vecchia formazione antropologica e delle mie recenti letture di etnopsichiatria, in particolare di alcuni testi di Piero Coppo e Tobie Nathan.

Ma certamente questa genealogia di riflessioni e di letture non entra in modo diretto nei testi, non viene detta (e non deve esserlo) ed è probabile che chi si trova a leggerli abbia interessi e letture in buona parte differenti. Di cosa gli parlano dunque i miei testi? Cosa fa emergere che possiamo avere in comune? Che ad emergere sia un’attenzione all’immaginario borghese che prova a passare non tanto attraverso la critica quanto attraverso uno sguardo differente, è per me già una bella soddisfazione.

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