by Gianluca Mantoani
(questo è l’articolo uscito oggi sul blog Masticadores Italia, primo appuntamento di una serie che avrà cadenza periodica)
Inizia, con questo articolo, un nuovo appuntamento periodico su Masticadores Italia, grazie alla fiducia accordatami da Simon James Terzo e Juan Re Crivello che mi hanno messo a disposizione questo spazio per sviluppare e condividere un percorso di letture e riflessioni sul rapporto fra immaginazione e linguaggio poetico; percorso che porto avanti da qualche mese sul mio blog: (gianlucamantoani.blog)
Siccome ritengo che i nomi, tutti i nomi, siano importanti perché portano in sé storie e scelte, ho deciso di intitolare questa “rubrica”: Immaginare.
Ritengo infatti che questa facoltà cognitiva (la capacità di immaginare) costituisca uno specifico modo di rapportarsi con la realtà e che che questo “modo” (un rapporto con la realtà fatto di libertà, di esperienza, di ricerca della conoscenza) sia la base necessaria del fare poesia.
Non è tutta farina del mio sacco, naturalmente, prendo in prestito il grosso dell’ idea da Wallace Stevens, il grande poeta americano della prima metà del secolo scorso e, per aiutarmi a chiarire il punto, lo chiamo qui direttamente in causa attraverso una sua famosa poesia:
L’Angelo circondato dai contadini
Uno dei paesani:
C’è forse
un benvenuto alla porta a cui nessuno viene?
L’angelo:
Sono l’angelo della realtà,
visto un attimo affacciarsi sulla porta.
Non ho ala cinerea, né abito smagliante
e vivo senza una tiepida aureola
o stelle al mio seguito, non per servirmi,
ma, del mio essere e del suo conoscere, parti.
Sono uno come voi ed essere uno di voi
vale essere e sapere ciò che sono e so.
Eppure sono l’angelo necessario della terra,
poiché, nel mio sguardo, vedete la terra nuovamente,
spoglia della sua dura e ostinata maniera umana,
e, nel mio udire, udite il suo tragico rombo
liquidamente sollevarsi in liquidi indugi
come acquee parole nell’onda, come sensi detti
con ripetizioni e approssimazioni. Non sono forse,
anch’io, una sorta di figura approssimativa,
una figura intravista, o vista un istante, un uomo
della mente, un’apparizione apparsa in
apparenze tanto lievi a vedersi che se appena
volgo le spalle, subito, ahi subito, svanisco?
da: Le aurore d’autunno, 1950; traduzione in: Wallace Stevens, Harmonium, Poesie 1915 – 1955, a cura di Massimo Bacigalupo, Einaudi, Torino, 1994
La poesia è dunque, per Stevens, come si vede, la lingua dell’angelo necessario, del poeta, grazie a cui è possibile vedere “… il mondo nuovamente“, ma con occhi diversi. Una lingua che, con ripetizioni e approssimazioni, è capace di mutare il senso che solitamente si attribuisce alla realtà che ci circonda, per trascenderlo e mostrarne altri.
Wallace Stevens era convinto, insomma, che il senso e la misura del fare poesia si collocassero nel rapporto con la realtà, un rapporto che si costruisce proprio attraverso l’immaginazione e riteneva che questa capacità di immaginare rappresentasse in effetti l’unica possibile forma di trascendenza della realtà a disposizione degli esseri umani.
Trascendere in questo caso non significa indirizzarsi verso dimensioni ulteriori e sovraumane, ma letteralmente sollevare il proprio (umanissimo) sguardo, grazie all’immaginazione, per tornare quindi alla realtà stessa conoscendola meglio, avendola vista in rapporto a ciò che ancora essa non è; avendola vista finalmente in rapporto a ciò che potrebbe diventare. (Wallace Stevens, L’Angelo necessario. Saggi sulla realtà e l’immaginazione, 1951)
L’immaginazione peraltro è un campo vasto, che suscita da sempre l’attenzione di svariate discipline, dalla filosofia alle neuroscienze, dalla psicologia del profondo alle arti figurative e alla poesia, solo per dirne alcune. Grazie a questo concorso di sguardi abbiamo oggi la consapevolezza che essa (l’immaginazione) costituisce per l’essere umano il punto di incontro fra la sua attività cognitiva, le pulsioni profonde della sua psiche e i contenuti assimilati attraverso la vita sociale.
Questo movimento (trascendere il reale attraverso l’immaginazione per arrivare a conoscerlo meglio) è, al momento, il discorso più equilibrato e convincente che conosca in merito al senso della poesia (e anche in merito alla trascendenza). Un discorso che, per parlare del discorso poetico, chiama direttamente in causa, un rapporto col reale nutrito di viaggi, percorsi, osservazioni, immagini e percezioni.
Saranno dunque questo tipo di esperienze, di volta in volta, i pretesti dai quali partirò per sviluppare le tappe della nostra “rubrica’ (se mi si passa questa etichetta un po’ fuori moda), nella speranza che il cammino possa interessare e sviluppare una discussione stimolante. Lo vedremo.
Dopo tutto, come diceva Antonio Machado: il sentiero si fa camminando (se hace camino al andar).
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