Wallace Stevens (1897-1955), dirigente assicurativo, poeta colto e raffinato fra i maggiori della sua generazione, ha indagato a fondo e a lungo le relazioni fra immaginazione, realtà ed esperienza, sia in versi che in diversi saggi e anche nella forma ibrida, di “adagi” e considerazioni distese in forma di poesie come il testo riportato di seguito, pubblicato postumo, nel 1957.
(Da: Adagi)
La relazione fra la poesia dell’esperienza e la poesia della retorica non è lo stesso che la relazione fra la poesia della realtà e quella dell’immaginazione. L’esperienza, perlomeno nel caso di un poeta di qualche spessore, è assai
più vasta della realtà.
Ci sono due opposti: la poesia della retorica e la poesia dell’esperienza.
Non tutti gli oggetti sono eguali. Il vizio dell’imagismo è che non l’ha riconosciuto.
Tutta la poesia è poesia sperimentale.
L’immagine nuda e l’immagine come simbolo sono il contrasto: l’immagine senza significato e l’immagine come significato. Quando l’immagine è usata per suggerire dell’altro, è secondaria. La poesia, in quanto prodotto dell’immaginazione, consiste di più di quanto sta in superficie.
In poesia devi amare le parole, le idee e le immagini e i ritmi con tutta la capacità del tuo amore.
Le cose viste sono cose come viste. Reale assoluto.
La poesia non è un fatto personale.
La poesia si legge con i propri nervi.
Il poeta è l’intermediario fra le persone e il mondo in cui vivono e anche fra le persone fra di loro; ma non fra le persone e qualche altro mondo.
L’immaginazione è il romantico.
La poesia non è la stessa cosa dell’immaginazione presa da sola. Niente è se stesso se preso da solo. Le cose sono in virtù di interrelazioni e interazioni.
La fede ultima è credere in una finzione, che si sa essere una finzione, non essendoci nient’altro. La verità squisita è sapere che è una finzione e che vi si crede volontariamente.
La poesia è l’espressione dell’esperienza della poesia.
Vivere nel mondo ma al di fuori delle concezioni esistenti di esso.
Sono le spiegazioni delle cose che diamo a noi stessi che svelano il nostro carattere: i temi delle proprie poesie sono i simboli del proprio io o di uno dei propri io.
La poesia deve essere qualcosa di più di una concezione della mente. Deve essere una rivelazione della natura. Le concezioni sono artificiali. Le percezioni sono essenziali.
Leggere una poesia dovrebbe essere un’esperienza, come fare esperienza di un’azione.
Non si scrive per nessun lettore tranne uno.
Il valore ultimo è la realtà.
Il realismo è una corruzione della realtà.
Tutta la storia è storia moderna.
La poesia è la somma dei suoi attributi.
Non credo si debba sostenere a tutti i costi che il poeta è normale o, del resto, che lo sia chiunque.
La poesia che segue (riportata in Nuovi Argomenti in occasione dell’uscita della raccolta Tutte le poesie di Stevens per Mondadori, nel 2015) mi pare che incarni in modo straordinario le concezioni di Stevens riportate prima nella forma di “adagi”.
ANEDDOTO DI UOMINI A MIGLIAIA
L’anima, disse, è composta
del mondo esterno.
Ci sono uomini dell’Est, disse,
che sono l’Est.
Ci sono uomini di una provincia
che sono quella provincia.
Ci sono uomini di una valle
che sono quella valle.
Ci sono uomini le cui parole
sono come suoni naturali
dei loro luoghi
come il chiocciare dei tucani
nel luogo dei tucani.
Il mandolino è lo strumento
di un luogo.
Ci sono mandolini delle montagne occidentali?
Ci sono mandolini del chiar di luna settentrionale?
Il vestito di una donna di Lhasa,
nel suo luogo,
è un elemento invisibile di quel luogo
fatto visibile.
(Wallace Stevens, da Armonium, 1923)
(foto da https://owlcation.com/humanities/Analysis-of-Poem-Sunday-Morning-by-Wallace-Stevens)
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