L’umanita (molteplice) e la psiche. Una lezione che, se iniziate ad ascoltare, non riuscirete ad interrompervi.
In questi mesi sto seguendo il filo di letture e di pensieri che dal significato del concetto di paesaggio, anche in poesia, mi ha condotto alla scoperta di Wallace Stevens e del suo modo di pensare l’immaginazione come “capacità di relazionarsi con la potenzialità (il “non ancora”) del reale”.
Ragionando sull’immaginazione e la creatività si finisce fatalmente per inciampare nei concetti di “anima”, psiche e archetipo. Così nel mio vagabondare fra filosofia, psichiatria, poetica e antropologia, mi sono imbattuto in questa lezione che 2 aprile 2014 Piero Coppo ha tenuto presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova. E ho trovato la lucidità di un maestro che – purtroppo – non conoscevo.
Etnopschiatria: ragionare sull’alterità; Piero Coppo, Genova, 2/4/2014
Piero Coppo (1940-2021) pioniere dell’etnopsichiatria in Italia e medico itinerante tra scienza e credenza; esploratore tra gli universi extraeuropei della cura, ha tracciato rotte fondamentali per la interazione e l’inclusione del pensiero di terapeuti indigeni e tradizionali alle pratiche occidentali contemporanee.
Consulente di medicine tradizionali dell’OMS, per il Ministero Affari Esteri e per UNICEF, ha viaggiato in Mali, Somalia, Guatemala, Marocco e Perù tra innumerevoli sistemi di conoscenza e guaritori, generando una visione collettivamente umana e profondamente sensibile ai bisogni di ogni singolo individuo.
Come fondatore e direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Sagara, ha tracciato una segno indelebile nella storia del dialogo tra civiltá mediche. A partire dal 1970 ha lavorato in programmi di cooperazione internazionale (Guatemala, Somalia, Somaliland, Mali, Senegal) rivolti ad articolare i sistemi di cura locali con quelli della medicina. Si è interessato in particolare ai sistemi di cura Dogon (Mali) nel campo dei “disturbi psichici”.
In questa lezione del 2 aprile 2014 ha tracciato un percorso ideale da Kraepelin attraverso Freud, Malinowski e Devereux, fino ad un modello di conoscenza e un modo di pensare l’umanità che tenga conto della molteplicità culturale e cerchi di curare la sofferenza anche in questo quadro, più complesso di quello che la scienza ha pensato a lungo come “universale”.
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