Giustizia poetica e immaginazione

Seconda parte degli appunti di lettura relativi a Autorizzare la speranza (Italo Testa, 2023).

Nella parte iniziale del libro l’autore imposta il ragionamento sul rapporto fra linguaggio poetico e pensiero utopico; ne ho fatto una sintesi in questo post.

Ora invece mi inoltro nell’analisi del capitolo intitolato “Giustizia poetica, che ripropone sostanzialmente il testo apparso online su Le parole e le cose nel 2013.

L’espressione Giustizia poetica indica in origine un meccanismo teatrale o piuttosto una tecnica letteraria, per la quale la virtù viene premiata (o il vizio punito) magari per uno scherzo del destino che è intimamente legato alla condotta del personaggio. La tesi moralistica per cui cui la poesia dovrebbe contenere la giustizia ha origine nelle poetiche di Aristotele, il quale sosteneva che la poesia è superiore alla storia in quanto mostra cosa dovrebbe accadere, e non semplicemente ciò che accade. E questo riferimento è riportato anche nell’argomentazione di Testa.

Il capitolo dunque parte con un richiamo all’idea formulata da George Lukacs, in Teoria del romanzo (1919) che non solo l’arte ma un po’ tutta la filosofia sia mossa da una spinta utopistica, un andare oltre l’esistente per cercare “l’uomo nuovo” prefigurando un “dovrebbe essere“.

Questa spinta etica a trascendere il presente in cerca di condizioni migliori è il motore della ricerca nei campi filosofico, in letterario e politico. Ma per coglierne appieno il senso, sostiene Testa, bisogna capire il ruolo che l’immaginazione gioca al suo interno.

La diffusione dello spirito utopico nel campo politico anche se è stata travolta dalla deriva totalitaria del comunismo e dalla sua crisi storica; paradossalmente tuttavia è proprio per il suo stretto legame con la vicenda storica della diffusione dell’utopia comunista fra XIX e XX secolo che lo spirito utopico è entrato nell’immaginario collettivo del ‘900, in maniera se non globale quantomeno largamente diffusa.

Ad esempio, nel 1949 Wallace Stevens scriveva che: “attualmente il comunismo è la misura della capacità immaginativa di larga parte dell’umanità” (in: L’immaginazione come valore, all’interno di: “L’angelo necessario. Saggi sulla realtà è l’immaginazione” a cura di M. Bacigalupo; Milano, 2000)

Questa ampia diffusione sociale è dinque la testimonianza del fatto che la vita sociale è profondamente intessuta di immaginazione ed immaginario ed è per questo permeabile e permeata di spirito utopico.

Viviamo nei concetti dell’immaginazione ancora prima che la ragione li stabilisca“; (sempre Wallace Stevens.)

Ma ci sono differenze nel modo in cui lo spirito utopico produce conseguenze nei diversi campi in cui si manifesta. Mentre nel campo politico lo spirito utopico si applica al concreto del vivere sociale, in metafisica esso porta in evidenza la “carica desiderante dell’immaginazione“, quella che genera una spinta al miglioramento dell’essere stabilendo un nesso (di matrice platonica potremmo dire) fra Felicità e Perfezione.

Questa “promessa di felicità” che muove lo spirito utopico e che si nutre di immaginazione, può trovare realizzazione solo nella “completa individuazione” dei suoi oggetti. Non vive quindi di immagini vaghe, indistinte o articoli di fede, ma piuttosto di oggetti completamente individuati e definiti, che arrivano ad esserlo nell’immaginazione come non riescono a farlo nella realtà materiale. Per questa via l’immaginazione (con la sua carica utopica) riesce ad entrare  nella realtà materiale e ad avere un impatto su di essa.

È difficile comprendere lo spirito utopico se si guardano solo le due manifestazioni nel campo politico, bisogna – suggerisce Testa – allargare lo sguardo al campo della ricerca metafisica e da qui al principio estetico che sorregge la “promessa di felicità” di cui la ricerca utopica è portatrice, ovvero la completa individuazione dei suoi “oggetti di desiderio” alla luce di quella che viene descritta come “giustizia poetica”, riprendendo l’espressione dalla storia del teatro e dalla poetica di Aristotele.

Ma cosa c’entra la giustizia poetica? Il pensiero utopico pensa la società alla luce di una giustizia che non è solo individuazione delle colpe e nemmeno solo redistribuzione.

C’è invece una “giustizia senza nome” come idea di compimento di ciò che deve essere, completa individuazione dell’essere nel suo destino, ma nella vita e attraverso la vita, non dopo di essa.  È proprio la poesia, come ha spiegato Aristotele, ad offrire questa “giustizia poetica”, perché cerca di parlare di ciò che deve accadere piuttosto che di ciò che in effetti accade.

La poesia parla dunque di un ordine del possibile, alla luce di una giustizia prodotta dalla vita e nella vita, attraverso la compiuta realizzazione del carattere, del dover essere delle persone e delle cose di cui tratta. La completa individuazione, la discesa nel particolare, la completa determinazione dell’individualità. La loro realizzazione completa si potrebbe dire.

La felicità promessa dal pensiero utopico è dunque immaginabile, dunque pensabile (e per questa via realizzabile) attraverso quella la completa individuazione e realizzazione che può avere luogo solo nel discorso poetico, dice Testa.

Che è un linguaggio, come dice Paul Celan “liberato nel segno di una individuazione indubbiamente radicale ma, allo stesso tempo, anche consapevole dei limiti che la lingua gli impone, delle possibilità che la lingua gli dischiude

Quindi, ecco il nocciolo dell’argomentazione, la poesia apre mediante la lingua una possibilità di conoscenza compiuta delle cose individuali, una attuazione della ricerca utopica che si realizza nella radicalità della ricerca poetica sul linguaggio.

Walt Whitman in Foglie d’Erba  definisce bene questa idea della giustizia poetica come compiuta individuazione, quando scrive che il poeta non giudica come giudicano i giudici ma come il sole che piove attorno a un oggetto inerte. Il (o la) poeta con la sua immaginazione vede le cose nella loro pienezza e compiuta individuazione. Nella luce della poesia le cose possono apparire come dovrebbero, al massimo del loro fulgore, ciascuna cosa nella sua particolarità e differenza. Whitman, per questa ragione, definisce il (la) poeta come l’arbitro del diverso

Quindi questa attitudine a rendere con l’immaginazione giustizia piena del singolo, del particolare e del differente è ciò che possiamo definire giustizia poetica e che secondo Italo Testa chiarisce quale nesso fra giustizia e realizzazione individuale ci sia alla base del pensiero utopico.

L’immaginazione gioca evidentemente un ruolo decisivo in questo processo, sia nel produrre questa realizzazione del particolare e sia nel collegare quanto avviene nel pensiero individuale a quanto avviene a livello intersoggettivo e di collettività. Ma cos’è l’immaginazione? Testa qui la definisce come il potere della mente sulla potenzialità delle cose. Si tratta della capacità aprire una breccia nell’ordinario in direzione dell’estraneo che pone la poesia come possibile forma di realizzazione delle cose

Questo ragionamento ci consente di tornare a Wallace Stevens e capire cosa intende quando definisce la poesia come analogia trascendente composto di particolari tratti dal reale

L’aspirazione conoscitiva della poesia è costituita dunque dalla funzione di una vita immaginata che proprio in quanto tale ci raccorda al mondo reale. Onesta fedeltà alle cose che si consuma nell’apparenza è in realtà una finzione che, proprio perche tale, “fa contatto” con il mondo e ci lascia percepire le cose come sono.

Una critica dell’idea di verità, vagliata dal punto di vista dell’immaginazione e della giustizia.

_____________________________

Di seguito alcuni altri riferimenti interessanti per questa argomentazione che si possono trovare in rete

https://www.nazioneindiana.com/2009/01/23/su-jacques-ranciere-politique-de-la-litterature/

Questa recensione di Andrea Inglese porta fieno all’argomento di Italo Testa e mostra la convinzione di Ranciere relativa all’importanza letteraria della esplorazione “degli stati di cose senza ragione”, ossia insignificanti e privi di senso, che si sottraggono all’ermeneutica della decifrazione dei segni inscritti negli oggetti. quest’ultimo quello ancora meno esplorato e compreso. Ma esso risuona in modo estremamente nitido nella voce di alcuni autori centrali del Novecento, da Beckett a Gombrowicz, da Ponge a Volponi. E i quest’ottica, Rancière ci offre una via ermeneutica importante, seppure ardua: confrontarsi con la politica letteraria del non-senso, ossia con quegli eventi molecolari che precedono ogni figura di soggetto e di mondo.

[Jacques Rancière, Politique de la littérature, Paris, Galilée, 2007]

Rilevante per questo tema anche il lavoro della filosofia americana Martha C. Nussbaum Giustizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile, Mimesis 2012, pubblicato in traduzione italiana un anno prima del saggio di Testa ma uscito negli stati uniti quasi vent’anni prima, nel 1995.


Scopri di più da gianlucamantoani.blog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

3 commenti Aggiungi il tuo

Lascia un commento