Politiche della Bellezza

Con le parole di Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia:

Questa edizione della Mostra ospita frammenti di bellezza marginalizzata, esclusa, punita, cancellata da schemi di geo-pensiero dominante. Così i temi cogenti della Mostra di Pedrosa, [Adriano Pedrosa, Curatore della 60° Biennale; ndr] il diverso, lo straniero, il viaggio, l’integrazione, riverberano nelle acque sempre calme e sempre nuove della città lagunare. Ancora una volta Venezia – nei secoli culla dolce di conoscenza e comunicazione tra popoli, etnie, religioni – è la piazza naturale da cui smistare nuovi punti di vista e Fare Mondi – per dirla con un lessico qui di casa“.

Le Visioni che incarnano questa presa di posizioni sono moltissime e stordisce il confronto  con la quantità e la varietà di prospettive che fanno dell’Arte un mezzo di lotta politica, di resistenza e attacco contro le ingiustizie, le diseguaglianze, le discriminazioni e gli abusi di potere. 

Da qui, percorrendo la 60°   Biennale, l’idea che arte e politica siano campi distinti dell’esistenza appare con chiarezza per quel che è: una comoda scusante a difesa di chi parte favorito dallo status quo.

Il Padiglione Centrale dei Giardini, ad esempio, è una grande visione, colorata e abbagliante; un monumentale murales composto da 700 metri quadri di visioni sacre rituali realizzato a cura del MAHKU (Movimento dos Artistas Huni Kuin).  Si tratta della prima volta che un collettivo artistico indigeno dell’Amazzonia si prende il centro della scena alla Biennale.

Ibã Huni Kuin, Bane Huni Kuin, Movimento dos Artistas Huni Kuin (MAHKU), Sem título, 2017, hydrographic pen on paper, 29.7 × 42 cm. Courtesy: MASP, São Paulo; photograph: Eduardo Ortega

Un altro esempio straordinario si trova nel padiglione olandese, che ospita la mostra “The International Celebration of the Blasphemy and the Sacred” a cura del Circle d’Art des Travailleurs de   Plantation Congolaise (CATPC); una selezione di sculture dai cui proventi il collettivo trae le risorse per riscattare le terre confiscate un secolo fa da UNILEVER per poi ripiantumare e far rivivere la foresta sacra che la multinazionale aveva trasformato in monocultura di palma da olio.

Una potente riflessione sul ruolo che la bellezza può avere non solo come campanello d’allarme contro corruzione e ingiustizie (come pensava ad esempio Peppino Impastato), ma proprio come strumento di azioni concrete per contrastare e le diseguaglianze e ottenere giustizia.


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