Pone subito, sempre, una questione di libertà, di originaria e originante libertà; ogni erba che produce seme e che viene pronunciata, quando viene conosciuta; ogni albero che porta frutto, che produce seme, quando la pianta, il frutto, il seme vengono pronunciati, quando vengono conosciuti.
Così come è stato dal principio, per l’uso di scegliere, di cercare fra gli alberi fioriti della senescenza e della conoscenza. Senza seduzioni, senza esitazioni; senza veramente bisogno – quale bisogno c’era in fondo – di dire: “soggiogate la terra e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere che striscia sulla terra”.
Meglio, molto meglio scavalcare il muro, in quell’istante e aprire una fuga di strade; senza voltare, senza parlare; così, velocemente, come il figlio s’allontana dal padre, per bisogno di essere. Per bisogno di vedere con gli occhi il fiume scorrere nell’oasi, nel giardino persiano, per irrigare e subito dividersi in quattro corsi.
Il primo fiume circonda la città di Avìla, dove c’è l’oro fino, la resina odorosa e la pietra d’onice; il secondo fiume, che scorre più lontano, nel paese d’Etiopia; e ancora, oltre il fiume Tigri ad oriente di Assur e infine l’Eufrate, che brilla nel sole e scorre più lontano, più rumoroso; non si può pensare al ritorno.
Ora, il giardino è piccolo, dopo aver visto Avila, l’Etiopia, Assur e l’Eufrate; piccolo, come piccola e povera, alla fine, può sembrare un’Itaca. Per questo, nonostante Cartagine e Orange; nonostante Trento, ancora oggi, si può dire di vivere.
(maggio 2023)
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